Salute

Spondiloartrite assiale, il Prof. Ciccia: "Attenzione al mal di schiena che peggiora con il riposo e migliora con il movimento”

“Si tratta di una malattia infiammatoria caratterizzata da dolore cronico alla schiena che colpisce soggetti giovani sotto i 40 anni”. L’intervista al Professore Ordinario di reumatologia dell’ Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”

Un semplice mal schiena può essere un importante campanello di allarme per questa malattia reumatica. Si chiama “Spondiloartrite assiale” (axSpA), una malattia infiammatoria cronica, dolorosa, invalidante se trascurata, e poco conosciuta. Si manifesta con un semplice dolore alla colonna lombare che dura oltre i tre mesi e che peggiora con il riposo e migliora con il movimento. Ad essere colpiti sono soprattutto i giovani al di sotto dei 40 anni. Se non viene trattata, la axSpA può compromettere le normali attività quotidiane, causando una perdita di produttività sul lavoro e forti disagi nei rapporti sociali, oltre a determinare danni irreversibili. Non si conoscono le cause scatenanti, l’unica cosa certa è che ha una base genetica. Intervenire alla comparsa dei primi sintomi, rivolgendosi ad uno specialista reumatologo, è l’unico modo per bloccare l’avanzamento della malattia e non rischiare che questa diventi invalidante. Francesco Ciccia, Professore Ordinario di reumatologia presso l’ Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, nell’intervista rilasciata a NapoliToday, ha spiegato come individuare i sintomi e quali sono i trattamenti per curare la malattia.

Prof. Ciccia, parliamo di spondiloartriti. Che tipo di malattie sono?

“Sono malattie infiammatorie croniche che coinvolgono nella maggior parte dei casi soggetti di età inferiore ai 40 anni. Le due manifestazioni cliniche predominanti sono l’infiammazione delle articolazioni periferiche (quindi delle ginocchia, caviglie, gomiti, ecc.), che si manifesta con gonfiore, dolore e cattiva funzionalità delle stesse, o il dolore alla colonna lombare, che si manifesta con sintomi particolari (li definiamo “infiammatori”), cioè un dolore che sopraggiunge di notte, che migliora con il movimento, che risponde molto bene agli antinfiammatori”.

Come si classificano le spondiloartriti?

“Ci sono varie forme. La classificazione, ad oggi, più accettata è quella che prevede una distinzione in forme prevalentemente assiali, cioè in cui c’è un coinvolgimento predominante della colonna vertebrale, e in forme periferiche, in cui c’è un coinvolgimento delle articolazioni periferiche. Questa è una classificazione più recente. In passato venivano classificate in funzione dell’associazione con la malattia predominante: ci sono, infatti, forme legate alle malattie infiammatorie croniche intestinali, alla psoriasi, a infezioni batteriche del tratto uro-genitale o intestinale. Oggi, però, si preferisce classificarle in assiali e periferiche”.

Qual è la differenza tra la spondiloartrite assiale radiografica e la spondiloartrite assiale non-radiografica?

“La spondiloartrite assiale prevede una forma anchilosante classica e una forma non radiografica. La differenza tra le due consiste nella presenza o meno di un danno radiograficamente evidente a livello delle articolazioni sacro-iliache colpite in maniera predominante. La spondilite anchilosante classica provoca un danno radiografico evidente, mentre la forma non radiografica (più precoce della prima) non si evince da una radiografia”.

Come vengono diagnosticate?

“La forma radiografica viene diagnosticata attraverso la semplice radiografia. La forma non radiografica viene diagnosticata, invece, con una risonanza magnetica delle articolazioni scaro-iliache; in alcuni casi, però, le indagini possono proseguire anche con esami ematochimici come un test genetico per la tipizzazione tessutale per la dimostrazione dell’HLA-B27 (fortemente associato alla presenza di questa malattia) o con l’esecuzione di indici di infiammazione come la proteina C-reattiva. La forma non radiografica prevede un’aggregazione di segni e sintomi, e anche dati di risonanza per poter essere definita”.

Che impatto hanno sulla qualità della vita?

“Essendo malattie che colpiscono soggetti di età inferiore ai 40 anni, quindi soggetti nel pieno delle attività produttive, sociali, riproduttive, hanno chiaramente un impatto devastante sugli stili di vita, sulle attività lavorative, sociali, familiari e ricreative di chi ne soffre”.

Colpiscono maschi e femmine in egual modo?

“La spondiloartrite assiale anchilosante ha una prevalenza nel sesso maschile, la assiale non radiografica vede una prevalenza nel sesso femminile”.

Quante persone ne sono affette in Italia?

“L’incidenza viene stimata tra lo 0,1% e lo 0,5% della popolazione. Il dato è, però, sottostimato perché c’è, sia in Italia che nel resto d’Europa, un ritardo diagnostico importante. Per questo motivo, ad oggi, si stima che passino più o meno 8 anni dall’esordio della malattia a quando la stessa viene diagnosticata”.

Quali sono, quindi, i campanelli di allarme a cui prestare attenzione?

“Il campanello di allarme è il dolore alla colonna lombare. Un soggetto giovane che ha meno di 40 anni e ha un dolore alla colonna lombare deve essere guardato con attenzione, soprattutto se questo dolore ha le caratteristiche descritte prima (dolore che peggiora con il riposo e durante la notte, che migliora con il movimento, e risponde agli antinfiammatori). Basta fare queste poche domande al paziente per capire se si è in presenza di un dolore infiammatorio, in tal caso deve essere riferito a uno specialista reumatologo”.

Come vengono trattate queste malattie?

“Le Linee Guida Internazionali prevedono un ciclo con antinfiammatori non steroidei. Se il paziente non risponde a un ciclo di terapia di tre mesi con questi farmaci, deve essere trattato con farmaci biotecnologici (detti anche volgarmente “biologici”): sono farmaci che bloccano le molecole coinvolte nel processo infiammatorio dette “citochine”. Il trattamento è multidisciplinare: la parte principale è a carico del trattamento farmacologico, ma questo deve essere combinato con un programma di riabilitazione fisica che può prevedere lezioni di pilates o di nuoto, o una terapia di gruppo con fisiatri che lavorano sulla mobilità della colonna”.

Quali sono le novità emerse nel recente Congresso Mondiale tenutosi ad Atlanta?

“Le novità riguardano l’utilizzo di innovative strategie terapeutiche con nuove classi di farmaci come gli inibitori della Janus chinasi. Ad oggi, comunque, le due categorie di farmaci più utilizzati sono gli inibitori dell'IL-17 e gli inibitori del TNS-alfa. Altra novità emersa nel Congresso riguarda la correlazione, molto importante, tra un’alterata flora microbica intestinale e la genesi della malattia. Sembrerebbe che un’alterata composizione della flora microbica giochi un ruolo importante nel determinismo della malattia”.

Quali sono le altre cause che determinano questa patologia?

“Si tratta di una patologia sconosciuta, non sappiamo quali sono le cause scatenanti. L’unica cosa che sappiamo è che c’è una base genetica legata alla presenza dell'HLA B27 e ad altri geni coinvolti (IL-23 e IL-17). Oggi la teoria più accreditata sulla patogenesi della malattia è legata, come ho detto prima, a un’alterata composizione della flora intestinale: le cellule partono dall’intestino, raggiungono le sedi articolari o la colonna lombare determinando l’infiammazione”.

In che modo si può fare prevenzione?

“Non si può fare prevenzione, ma si può bloccare la progressione della malattia. Prima i pazienti diventavano sostanzialmente invalidi, oggi c’è la possibilità, con interventi farmacologici, di bloccare la progressione della malattia. E’ fondamentale, quindi, sottolineare l’importanza della diagnosi precoce”.


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