Salute

Il latte fa bene o fa male? Risponde la nutrizionista

“Se piace e non si hanno intolleranze si può bere ma bisogna ridurne il consumo con la crescita senza abusarne”. L’intervista alla dott.ssa Giuseppina Bentivoglio

Il latte è l’alimento della nostra infanzia, ma da qualche anno è al centro di un acceso dibattito. Il latte vaccino fa bene o fa male? E’ salutare per tutti? Quanto se ne può bere ogni giorno? Meglio il latte vaccino o quello delattosato? Siamo gli unici mammiferi a bere in età adulta il latte di un’altra specie. Certamente per il neonato è un alimento completo, necessario alla crescita. Ma dopo lo svezzamento è giusto continuare ad assumerlo? Su questo la comunità scientifica è discordante. Alcuni lo ritengono un alimento completo che previene l'osteoporosi. Altri dicono che spiana la strada ad alcune tipologie di tumori ed è responsabile di numerose allergie alimentari. Per fare chiarezza sull’argomento NapoliToday ha intervistato la dott.ssa, biologa nutrizionista, Giuseppina Bentivoglio.

Dott.ssa, quali sono le proprietà nutrizionali del latte vaccino?

“Il latte vaccino è un alimento ricchissimo di sostanze nutritive, per questo motivo fa crescere un vitello in pochi mesi. L’acqua è il costituente principale, seguito da una buona percentuale di grassi, carboidrati, proteine, vitamine e minerali. In questi ultimi anni il latte e i prodotti lattiero-caseari sono stati messi sotto accusa per l’elevato contenuto di grassi e, sopratutto, per la presenza di acidi grassi saturi. Ma in realtà gli acidi grassi saturi a catena corta, tipici del latte (butirrico, caprilico e caprico), hanno effetti benefici per la salute e sono la principale fonte di nutrimento per le cellule del nostro intestino. Le proteine del latte contengono, inoltre, tutti gli amminoacidi essenziali ovvero quelli che il nostro organismo non è in grado di sintetizzare e di cui la dieta costituisce l’unica fonte. Inoltre fungono da trasportatori di minerali come il calcio, il magnesio e il fosforo. Il lattosio, principale zucchero presente nel latte, è la fonte di energia prontamente utilizzabile dall’organismo. In questo alimento, infine, troviamo le vitamine A, E, e K, tra quelle liposolubili, e la vitamina C, l'acido folico e la riboflavina, tra quelle idrosolubili”.

L'uomo è l'unico mammifero che beve latte anche dopo lo svezzamento. Parte della comunità scientifica ritiene che questo alimento andrebbe abolito dopo i 3 anni. Lei cosa ne pensa?

“E’ vero che dopo lo svezzamento la lattasi, ovvero l’enzima deputato alla digestione dello zucchero presente nel latte, subisce una riduzione fisiologica e quindi è utile ridurne il consumo con la crescita per evitare i disturbi gastrointestinali tipici dell’intolleranza. E’ anche vero, però, che la lattasi è un enzima inducibile, cioè la cui produzione da parte del nostro organismo è stimolata da una assunzione costante nel tempo; quindi anche grazie alla nostra straordinaria tradizione culinaria, la maggior parte della popolazione riesce a trarre benefici dal consumo di questa bevanda anche da adulto. Uno dei più grandi genetisti del mondo (Luca Cavalli Sforza) ha scritto: "Un esempio importante di una mutazione vantaggiosa che si è presentata nel corso dell'evoluzione umana recente è la capacità di utilizzare il lattosio da adulti”. Quando l’uomo, partendo dall’Africa, ha ‘invaso’ gli altri continenti, adattandosi alle differenti condizioni ambientali, la selezione naturale ha privilegiato chi aveva la pelle più chiara e la capacità di digerire il latte anche da adulto, così da approvvigionarsi di vitamina D e di calcio anche dove la radiazione solare è poco intensa. Bisogna sicuramente evitare di abusarne (e questo concetto vale per tutto) e ridurne il consumo con la crescita, ma non ritengo sia necessario abolirlo".

Quale dovrebbe essere il fabbisogno giornaliero di latte? La dose giornaliera da assumere dovrebbe cambiare in base all’età?

“Le linee guida per una sana alimentazione italiana consigliano una assunzione quotidiana di 2-3 porzioni tra latte e yogurt, ma sono raccomandazioni riferite alla popolazione generale. Sicuramente i bambini e gli adolescenti possono berne di più, essendo in fase di crescita e di sviluppo, rispetto ad un adulto sano, ma il reale fabbisogno di ciascun individuo deve tener conto di molti altri fattori oltre all’età, come ad esempio il peso corporeo, il profilo lipidico, il grado di attività fisica e la predisposizione genetica”.

E’ vero che il latte cura l’osteoporosi?

“Ci sono studi che associano il consumo di latte a una maggior densità ossea, ma non si può assolutamente affermare che chi beve latte sia immune da questo processo parafisiologico. Ci sono altri studi che attribuiscono l’osteoporosi al consumo eccessivo di latte e derivati secondo la teoria dell’acidificazione del sangue che attraverso l’attivazione di meccanismi tampone sottrarrebbe il calcio dalle ossa invece di depositarlo. Ma anche in questo caso non si può affermare che chi beve latte si ammala di osteoporosi. I processi fisiopatologici sono influenzati da numerose variabili, diverse a seconda della condizione dell’individuo trattato: in questo caso giocano un ruolo importante l’assorbimento intestinale di calcio, l’esposizione alla luce solare per la sintesi di vitamina D, l’attività fisica, il contributo ormonale soprattutto nelle donne, l’eccesso di sale nella dieta che provoca perdita di calcio”.

Secondo il “China Study” la caseina del latte stimolerebbe lo sviluppo dei tumori. Lei cosa ne pensa di questo studio?

“È uno studio epidemiologico basato su numerose correlazioni, i cui risultati non sono pienamente condivisi dalla comunità scientifica. L’autore del libro generalizza alcuni dati che riguardano una proteina specifica, studiata in modo isolato e senza tenere conto degli effetti di una dieta varia, per arrivare alla dubbia conclusione che sia consigliabile eliminare qualsiasi proteina animale. Io considero salutare il consumo di quantità ragionevoli di alimenti di origine animale di elevata qualità nutrizionale (latticini, pesce, carne, uova), in linea con i principi della Dieta Mediterranea ampiamente sostenuta da tutte le ricerche sul legame tra alimentazione e sviluppo di malattie, fra cui il cancro”.

Quali sono le differenze tra latte vegetale e latte animale?

“Il latte vegetale ha caratteristiche organolettiche e nutrizionali completamente diverse da quello animale. La definizione giuridica identifica come latte solo quello derivato dalla mungitura di un animale, le altre sono bevande a base di un estratto vegetale. Il latte vegetale ha un ridotto contenuto di grassi saturi e colesterolo, quindi può essere una valida alternativa per soggetti affetti da dislipidemie varie, inoltre contiene fibre, vitamine e minerali in quantità variabile a seconda della fonte di partenza. Bisogna prestare attenzione alla quota di zuccheri semplici che può essere naturalmente elevata (come nel caso del latte di riso) o addirittura essere il risultato di addizioni industriali. I diversi tipi di latte vegetale (soia, mandorle, riso, avena, cocco) andrebbero acquistati solo quando vi sia la garanzia della provenienza biologica per evitare di introdurre residui di pesticidi e fitofarmaci. Inoltre andrebbe verificato che il latte scelto non contenga aggiunte di grassi e sodio”.

L’intolleranza al lattosio è in continuo aumento. Secondo lei quale è la causa?

“L’intolleranza è una condizione nella quale i sintomi sono dose-dipendenti e, pertanto, piccole quantità non danno, in genere, origine ad alcuna sintomatologia, quindi non è una condizione facilmente diagnosticabile. Sicuramente l’aumento dei test analitici ha permesso accertamenti più mirati, laddove la sintomatologia clinica non sia sufficientemente chiara”.

Quali possono essere le alternative al latte vaccino? E’ giusto escluderlo dall’alimentazione se non si hanno reali necessità “fisiche” (intolleranza o allergia ad esempio)?

“Non esistono attualmente motivi per bandire il consumo di latte vaccino, tranne in casi di allergia alle proteine del latte (da affidare esclusivamente allo specialista) e di intolleranze sintomatiche al lattosio (gestibili, peraltro, in maniera adeguata scegliendo il latte e derivati delattosati). L’uso di latti delattosati e/o di prodotti lattiero-caseari a basso tenore di lattosio, o ancora l’assunzione di lattasi prima del pasto, permettono l’assunzione di questi prodotti senza incorrere nei disturbi gastrointestinali conseguenti alla carenza di lattasi. I formaggi stagionati e lo yogurt non contengono lattosio in quantità sufficienti a determinare, in genere, la comparsa della sintomatologia. La lattasi prodotta dai lattobacilli dello yogurt svolge, addirittura, un effetto protettivo per l'intestino. Nei soggetti con diagnosi certa è, comunque, fondamentale individuare la quantità necessaria a stimolare determinati sintomi, e provare a garantire un’alimentazione completa, senza superare tale soglia di lattosio”.


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