Cultura

La Statua del Dio Nilo, porta di ingresso nel cuore di Spaccanapoli

Più conosciuta come "Corpo di Napoli", la scultura del II secolo testimonia i rapporti con l'antico Egitto

Foto di Chiara Di Martino

La sua imponente presenza accoglie cittadini e turisti a pochi metri da Spaccanapoli, il decumano inferiore la cui parte centrale  coincide oggi con la suggestiva Via San Biagio dei Librai. Non a caso la Statua del Dio Nilo è chiamata anche "il Corpo di Napoli", simbolo di storia, multi-culturalità e accoglienza concentrati in un gruppo scultoreo in marmo datato II-III secolo d.C. Testimonianza diretta dei rapporti della Napoli greco-romana con l'Antico Egitto, la statua rappresenta una celebrazione del fiume Nilo:  quest'area, infatti, fu abitata a lungo da una colonia di mercanti egiziani provenienti da Alessandria d'Egitto, che ai napoletani chiesero - e ottennero, visti gli ottimi rapporti di convivenza tra i due popoli - un augurio di prosperità da indirizzare alla loro terra natale. L'autore è ignoto: a essere raffigurata è la divinità fluviale, rappresentata come un uomo anziano dalla lunga barba sdraiato su una roccia da cui sgorga acqua. La mano destra mantiene una cornucopia adornata di fiori e altri simboli di prosperità, mentre con il braccio sinistro si poggia su una piccola sfinge, trafugata negli anni Cinquanta del Novecento, recuperata in Austria nel 2013 e finalmente tornata nella sua collocazione originaria nel 2014. Sotto i suoi piedi il simbolo dell'Egitto, il coccodrillo, di cui oggi resta solo parte del corpo (la testa è andata perduta). 

La sorte della statua, infatti, seguì con ogni probabilità il destino dei culti perseguitati dalla religione ufficiale del Sacro Romano Impero: fu infatti spodestata e andò perduta. Fino al XIII secolo, quando fu ritrovata durante gli scavi delle fondamenta della costruzione della sede del Sedile di quella regione: riconosciuta come statua del dio Nilo malgrado l'assenza della testa, diede il nome anche al Seggio. Un recupero durato poco, se si pensa che in breve tempo se ne persero di nuovo le tracce fino a due secoli dopo: durante le operazioni di demolizione, nel 1476, dell'edificio del Seggio ormai fatiscente, fu ritrovata ma, a causa della mancanza della testa, lasciò pensare alla statua di una donna, anche per la presenza di bambini - in realtà dei putti - che sembrava allattare al seno. Una madre, dunque: immediato il collegamento al mito della Sirena Partenope, ed è dovuto probabilmente a questo equivoco il soprannome di "corpo di Napoli".

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Furono gli interventi di restauro eseguiti tra il XVII e il XIX secolo a svelare la vera natura della statua: nel 1657 Bartolomeo Mori integrò la statua - posta da quel momento su un blocco di marmo poggiato su un basamento in piperno e travertino - con la testa del dio barbuto, aggiunse al braccio destro la cornucopia, la testa di un coccodrillo all'altezza dei piedi e quella di una sfinge sotto il braccio sinistro, oltre che alcuni puttini. Ad oggi, dunque, le uniche parti dell'originale del II-III secolo sono il busto, gli arti inferiori velati, il braccio sinistro e la relativa spalla del dio, le onde su cui si distende, il coccodrillo e la sfinge (teste escluse).

La posizione della statua, all'ingresso di via San Biagio dei Librai - il cuore di Spaccanapoli, la cui totalità si estende da piazza del Gesù Nuovo fino a via Giudecca Vecchia, a Forcella - sembra andare di pari passo con il suo "soprannome": una sorta di porta di accesso al cuore pulsante della città. La comunità di mercanti egiziani che fece erigere la statua, invece, viveva lungo un proprio "cardo" chiamato “Vicus Alexandrinus”, che corrisponde all'attuale Via Nilo.

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