Cucina

I 7 fritti napoletani più famosi

Dai crocchè agli arancini, dalle paste cresciute alle frittatine di pasta: chi li ha inventati e qual è la ricetta per prepararli

L'emblema dello street food napoletano è il famoso cuoppo fritto. Un cono di carta paglia stracolmo di squisite pietanze fritte. Una tradizione della cucina partenopea risalente al 1800 quando chi era povero acquistava con un pagamento dilazionato a 8 giorni (si diceva, infatti, “a ogge a otto”) questo pasto sostanzioso e lo consumava in strada. Esistono due varianti di cuoppo: quello di pesce (con alici e baccalà fritti, zeppoline di mare con alghe, anelli di calamari e moscardini impanati e fritti) e quello di terra (con crocchè, arancini, paste cresciute, frittatine di pasta, sciurilli, e scagliozzi). Di seguito vi proponiamo l'elenco dei fritti (di terra) più famosi di Napoli con le relative storie e antiche ricette.

CROCCHE’ 

Oggi si gustano durante gli aperitivi accompagnati da un buon bicchiere di vino e da altri sfizi. Un tempo, venivano venduti nei vicoli del centro storico di Napoli dai “panzerottari”, i quali buttavano al momento l’impasto già pronto nel pentolone d’olio caldo per servirli bollenti e dorati. Stiamo parlando dei famosi crocchè di patate, una pietanza tipica della tradizione culinaria partenopea. A Napoli sono chiamanti anche "panzarotti", forse per via della loro forma panciuta: ricordano, infatti, una "panza" morbida e tonda. Le origini di questa polpetta fritta realizzata con patate e uovo dividono gli storici ancora oggi. C’è chi sostiene che i crocchè abbiano un'origine francese, come può far intuire il nome: deriverebbero dalle 'croquettes' di patate della Francia angioina dell’XVIII secolo, un piatto molto apprezzato dal re e dalla sua corte. Le prime ricette scritte risalirebbero, infatti, a un trattato del 1798, “Il Trattato delle patate ad uso di cibo” di Antoine Augusten Parmentier, nutrizionista alla corte del re Luigi XVI, in cui si valorizza l’uso del tubero, allora considerato un cibo estremamente povero. A confermare questa tesi ci sarebbero altre ricette d’oltralpe lasciate in eredità dagli Angoini alla cucina napoletana: tra queste ricordiamo il gateau di patate francese, da cui deriva il partenopeo gattò di patate. Secondo altre fonti, invece, il crocchè sarebbe stato portato a Napoli dai conquistatori spagnoli, e avrebbe come antenato la "croquetas de jambon". La ricetta spagnola sarebbe stata, poi, negli anni rivisitata dalle famiglie più umili napoletane che avrebbero sostituito alcuni ingredienti presenti nella ricetta originaria (il latte, il prosciutto e le uova) con le patate, il sale, il pepe e il prezzemolo. Tutti gli altri ingredienti quali uova, parmigiano per amalgamare, pan grattato per impanare e fior di latte per farcire, sarebbero stati aggiunti solo successivamente. Che sia vera la prima o la seconda tesi non c’è dato sapere. Ma una cosa è certa: i napoletani hanno trasformato questo cibo di nobili origini  in uno stuzzichino sfizioso da mangiare passeggiando per strada, insieme ad altri fritti, all'interno del famoso "cuoppo fritto”, emblema dello street food partenopeo. Il "panzerottaro" attirava l’attenzione dei passanti gridando “Fa marenna, fa marenna! Te ne magne ciento dint’ ‘a nu sciuscio ‘e viento” (“Fai merenda, fai merenda! Te ne mangi cento in un soffio di vento”). I panzarotti venivano venduti a tutte le ore del giorno sia singolarmente che nel "cuoppo di carta” insieme ad altre bontà fritte napoletane, come le zeppoline di pasta cresciuta, gli scagliozzi, le palle di riso e le frittatine di pasta. E andavano gustati rigorosamente in piedi. Tutt’oggi è possibile gustarli nelle friggitorie che affollano il centro storico della città.

Per la ricetta clicca qui

ARANCINI

Forse non tutti sanno che gli arancini (o palle di riso) sono nati in Sicilia probabilmente tra il IX e l’XI secolo. Solo in un secondo momento la cucina partenopea si è appropriata della ricetta originale personalizzandola. Rispetto all’arancino siciliano (o arancina), “a pall’ e ris” napoletana è più rotonda, di dimensioni più piccole, e ripiena di riso al ragù, piselli, carne e mozzarella. Il nome “arancino” trae la denominazione metaforica dalla sua forma, molto simile a quella di un’arancia, frutto di cui la Sicilia è ricca. Il suo antenato è in realtà il timballo: si racconta infatti che, durante i banchetti gli arabi (in quel periodo la Sicilia era sotto la dominazione araba) avessero l’abitudine di disporre al centro delle loro tavole un vassoio di riso aromatizzato allo zafferano e condito con carni e verdure. La pietanza veniva mangiata con le mani. L’invenzione della panatura, invece, arrivò solo successivamente, e viene attribuita ai cuoci della corte di Federico II di Svevia che, per consentire al loro sovrano di gustare la pientaza durante le sue battute di caccia, ricoprirono l’arancino con un velo esterno di pangrattato. La panatura era la soluzione ideale per non far deteriorare il riso e la farcitura. Sulla sua origine, in realtà, diverse sono le ipotesi. C’è chi ritiene che sia nato nei conventi, chi all’interno delle case baronali, chi li fa derivare dalla tradizione della cucina popolare, dove gli avanzi di un pranzo venivano riciclati in modo fantasioso e gustoso. In realtà gli arancini sono una sintesi delle varie influenze storiche che ha subito la Sicilia: quella araba per il riso e lo zafferano, quella francese per il ragù, quella spagnola per il pomodoro e quella greca per il formaggio. Ma quando e come gli arancini sono arrivati in città? Probabilmente giunse a Napoli nel periodo del Regno dei Borbone, quando i legami con la Sicilia divennero più stretti e la cucina partenopea iniziò a subire una serie di contaminazioni. Fino a quel momento il riso non aveva avuto molto successo (era considerato un cibo povero), ma con la diffusione di questa nuova ricetta ideata dai monzù (i cuochi francesi alla corte dei Borbone durante il Regno delle due Sicilie), divenne degno anche della tavole dei ricchi.

Per la ricetta clicca qui

PASTE CRESCIUTE

Conosciute anche come zeppole fritte, sono palline dalla forma irregolare, di acqua e farina impastate fritte in olio bollente. La ricetta nasce, come molte pietanze della cucina napoletana, nei bassi del centro storico della città dove vivevano famiglie povere e molto numerose, che per sopravvivere dovevano arrangiarsi con i pochi ed economici ingredienti che si potevano permettere. Quando poi è nato il panzarottaro, come i cocché anche le paste cresciute sono entrati a far parte del cuoppo fritto e hanno assunto l’appellativo di “ogge a otte”, cioè “la consumo oggi e la pago tra otto giorni”. Oltre alla versione classica delle paste cresciute, esiste anche una variante, altrettanto squisita, con l’aggiunta della lattuga di mare (o alghe marine).

Ingredienti (ricetta classica):

  • 500 g di farina 00
  • acqua a temperatura ambiente
  • 10 g di sale
  • 20 g di lievito di birra
  • olio di semi di arachide per friggere

Preparazione: sciogliere il lievito in poca acqua. In una ciotola mettere la farina, il sale, il lievito ed aggiungere l’acqua sbattendo energicamente l’impasto. Dopo circa 10 minuti di lavorazione si otterrà una pastella morbida ma elastica. Lasciare lievitare l’impasto fino al raddoppio del volume, coprendo la ciotola con pellicola. Scaldare l’olio in una padella e, con l’aiuto di due cucchiai, formare le palline e friggerle. Scolarle, salarle e servirle calde.

 FRITTATINE DI PASTA

Molto amata dai napoletani e dai turisti, viene preparata con pasta di formato lungo, generalmente spaghetti o bucatini, besciamella, carne macinata, piselli, mozzarella, pepe, e passata in una pastella di acqua e farina, per poi essere fritta. Il risultato è una frittatina dal sapore unico, croccante fuori e cremosa dentro. Oggi è possibile trovare nelle tantissime friggitorie e pizzerie che affollano la città di Napoli anche versioni differenti dalla quella classica, come ad esempio la frittatina alla genovese o quella con salsicce e friarielli o con pasta e patate.

Ingredienti (versione classica):

Per le frittatine:

  • Bucatini 250 gr
  • Besciamella 500 ml
  • Piselli 70 gr
  • Prosciutto cotto 100 gr
  • Provola100 gr

Per la pastella:

  • Farina, 2 bicchieri
  • Acqua, 2 bicchieri
  • Ghiaccio

 Procedimento:

Preparate la besciamella e mettetela da parte. Per prima cosa cuocete la pasta in abbondante acqua salata e sbollentate i piselli, scolateli e metteteli da parte. Tagliate il prosciutto e la provola a cubetti piccoli. Condite i bucatini con i piselli, il prosciutto, la provola ed infine e la besciamella. Amalgamate bene tutti gli ingredienti. Rivestite una pirofila di carta da forno e versate nel suo interno i bucatini conditi. Lasciate riposare in frigo per almeno due o tre ore. Trascorso il tempo necessario, preparate la pastella unendo in un recipiente il ghiaccio, la farina  e l’acqua. Mescolate energicamente fino ad eliminare tutti i grumi. Tagliate con un coppapasta rotondo le frittatine, passatele nella pastella e friggetele in abbondante olio di semi di arachidi ben caldo.

SCAGLIOZZI

Gli scagliozzielli sono triangolini fritti di polenta che si è soliti trovare nel famoso “cuoppo” insieme alle zeppoline, panzarotti e frittatine di pasta. Secondo alcune fonti il nome farebbe riferimento alla “scaglia” ovvero un pezzo tagliato in maniera grossolana. Secondo altri, il nome deriverebbe da “scagliozza”, una moneta dell’Italia meridionale che per il colore giallo oro ricorderebbe i triangolini di polenta. Questa pietanza si ritrova anche nella cucina foggiana, barese e messinese, ma gli scagliozzielli si differenziano proprio per la loro forma irregolare e grossolana. Prepararli è davvero semplice e veloce. Per chi non volesse friggerli, è possibile anche cuocerli in forno: saranno ugualmente croccanti e sfiziosi. 

Ingredienti:

  • 200 gr di farina di polenta
  • 600 ml di acqua
  • sale
  • pepe
  • 1 l di olio di semi

Procedimento:

In una casseruola mettete a bollire l’acqua. Non appena avrà raggiunto l’ebollizione, versate a pioggia la farina mescolando continuamente fino a quando non si sia totalmente rappresa. Abbassate la fiamma e lasciate cucinare per 40 minuti mescolando di tanto in tanto con un cucchiaio di legno e salando a piacere. Aggiungete il pepe. Terminata la cottura versate la polenta in uno stampo rettangolare e fatela raffreddare. Tagliatela a triangolino o medaglioni e friggetela fino a quando le fette non saranno dorate e croccanti.

SCIURILLI

Gli sciurill sono fiori di zucca passati in pastella e poi fritti in abbondante olio bollente. Insieme ai crocchè, pastecresciute, arancini, frittatine e scagliozzi, sono tra i fritti più amati e gustosi della tradizione culinaria partenopea. La loro forma particolare, che ricorda un fiore non ancora sbocciato, li ben predispone anche a una deliziosa farcitura a base di ricotta, fiordilatte e pepe, che renderà questi fiori di zucca paradisiaci: questi sono gli sicurilli 'mbuttunati.

Per la ricetta classica clicca qui

MOZZARELLA IN CARROZZA

A ‘muzzarella in carrozz è un piatto tipico della cucina partenopea, molto amato dai napoletani e dai turisti. Si prepara con il pane cafone (o pancarrè), la mozzarella (possibilmente di bufala), la farina, le uova, il latte e l’olio per friggere. E’ un piatto povero, la cui ricetta risale al 1800, nato come soluzione di recupero di ingredienti non più freschi come il pane raffermo e la mozzarella dei giorni precedenti. Ma perché si dice “in carozza”? Secondo alcuni il nome farebbe riferimento alla modalità di preparazione: la mozzarella viene, infatti, adagiata su due fette di pane dorate che, per come vengono predisposte, ricordano una carrozza. Secondo una seconda ipotesi farebbe riferimento al fatto che la mozzarella poggiata sul pane si scioglie durante la cottura e, una volta addentata, fila creando delle “briglie” che guidano le fette (la carrozza). Secondo una terza ipotesi, il nome farebbe riferimento al latte che , trasportato in carrozze (come gli altri viveri), a causa del movimento durante il tragitto, si cagliava arrivando a destinazione come formaggio fresco. Che sia vera la prima, la seconda o la terza, non c’è dato sapere. L’unica cosa certa è che nel tempo la mozzarella in carrozza è divenuta un simbolo, insieme agli altri fritti classici napoletani, dello street food partenopeo.

Per la ricetta clicca qui


Allegati

Si parla di