Cronaca

“'Napoli' come aggettivo dispregiativo? È su tutti i dizionari”

Non solo Treccani. Il mese scorso Angelo Forgione aveva segnalato che anche Hoepli dava dignità linguistica a "napoli" come appellativo con connotazioni negative

Dizionario

Potrebbe creare dibattito nei prossimi giorni la denuncia, da parte del presidente dell'associazione neoborbonica Gennaro De Crescenzo, della presenza del vocabolo “napoli” sulle pagine dell'enciclopedia Treccani, inteso questo come sostantivo con accezione peraltro dispregiativa.

Non si tratta in realtà del primo caso in cui la presenza del termine viene definita discriminatoria. Già il mese scorso lo scrittore e giornalista Angelo Forgione aveva notato che pure l'Hoepli online, tratto dal Grande Dizionario Italiano Hoepli-Gabrielli, riportava alla voce “Napoli” - oltre che naturalmente il toponimo – anche l'aggettivo spregiativo.

La vicenda che ha suscitato l'attenzione anche del filosofo partenopeo ed ex parlamentare Aldo Masullo (“un termine del genere non ha alcun diritto di entrare nella lingua italiana”, ha spiegato al Roma in un'intervista), è stata successivamente “chiarita” in qualche modo dal curatore dell'Hoepli Massimo Pivetti.

Pivetti sottolinea che il termine, presente nell'Hopeli dal 1993, si trova anche nei dizionari Treccani, Battaglia, De Mauro, Devoto-Oli e Zingarelli. “Napoli (con la maiuscola) perde tutto quanto il nome della città evoca in termini di storia civile, di bellezze naturali, di ricchezza culturale – spiega Pivetti – e si riduce a denominazione di un luogo geografico, come capitale di un Mezzogiorno dal quale tanti sono emigrati in cerca di lavoro. Nel nostro caso, l’uso con intento spregiativo di napoli (con la minuscola) col significato di napoletano o meridionale è ben poco attuale; anzi, sa molto di anni ’50”.

“Ciò non toglie – prosegue il lessicografo – che il termine sia legittimato a far parte del nostro patrimonio linguistico, anche per merito di scrittori di un certo peso; e per chi si occupa di dizionari, l’impiego di una parola da parte di autori 'consacrati', come Pavese, Fenoglio, Testori”.

Che si accetti o meno la spiegazione di Pivetti, restano a prescindere alcuni dubbi su come l'uso e la legittimazione delle parole – dettato dalla narrazione storica “dei vincitori” – debba prima o poi adeguarsi a diverse interpretazioni degli eventi. Ad esempio, è al giorno d'oggi giusto che Hoepli definisca “borbonico” come “dispotico, arrogante, retrogrado, antiquato”? Ed è giusto che la definizione di “Questione meridionale” sia “complesso di problemi legati all'arretratezza economica e sociale del Mezzogiorno italiano, evidenziatisi in seguito all'unità d'Italia”?


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