L'Oro di Napoli

I 5 ipogei “visitabili” più suggestivi del Centro Storico di Napoli

NapoliToday vi accompagna in tour alla scoperta dei luoghi sotterranei "visitabili" più affascinanti del centro antico della città

Museo Sottosuolo

Che Napoli sia per metà in superficie e per metà sotterranea è noto a tutti. Tra cisterne, acquedotti, gallerie, ipogei e catacombe, la città partenopea vanta più 700 cavità sotterranee (quelle che conosciamo oggi). Il sottosuolo partenopeo è costituito in gran parte da tufo, pietra gialla di origine vulcanica, facile da scavare in quanto friabile e sufficiente a resistere alla realizzazione di gallerie autoportanti. Per questo è stato possibile, nel corso dei secoli, scavare nel sottosuolo innumerevoli cavità e, alcune delle quali utilizzate poi come rifugi durante la Seconda Guerra Mondiale rifugi. Ad esplorare il sottosuolo partenopeo in maniera sistematica si cominciò solo negli anni ’60, e dopo l'ennesima voragine nel centro antico, grazie anche al lavoro dell'Ingegnere Clemente Esposito (oggi Presidente del Centro Speleologico Meridionale), che ha scoperto la gran parte delle cavità sotterranee che oggi conosciamo. NapoliToday vi accompagna in tour alla scoperta dei luoghi sotterranei "visitabili" più suggestivi del Centro Storico della città partenopea.

Napoli Sotterranea

Tra gli ipogei da visitare più famosi della città, c’è Napoli Sotterranea, un fittissimo e complesso reticolo di cunicoli e cavità che si trovano nel sottosuolo napoletano e che formano una vera e propria città che ricalca, in negativo, la città di superficie. La città sotterranea si estende sotto tutto il centro storico, ad essa sono legati miti e leggende ancora oggi vivi nell’immaginario collettivo dei napoletani. Le gallerie sottostanti Napoli sono state usate, nel corso dei secoli, in diversi modi. Nate in seguito all’estrazione di tufo per la costruzione della città, sono state poi adibite ad acquedotto e come rifugio ai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Esistono due percorsi possibili per visitarla: uno da Piazza Trieste e Trento e l’altro da Piazza San Gaetano. Quello che parte da Piazza Trieste e Trento è di uno dei primi accessi aperti al pubblico e comprende (come il secondo) cavità usate per secoli come cisterne e poi adibite a rifugi durante i bombardamenti della guerra. L’ingresso del primo percorso è nei quartieri spagnoli, precisamente in vico S. Anna di Palazzo 52, a ridosso di via Toledo e delle centralissime Piazza del Plebiscito e Piazza Trieste e Trento dove è posto il punto di ritrovo (esterno del Caffè Gambrinus). L’altro percorso parte, invece, da Piazza San Gaetano, e consente di fare un viaggio nella storia lungo ben 2400 anni e a 40 metri di profondità tra cunicoli e cisterne. Durante la visita è possibile ammirare i manufatti più antichi risalenti a 5mila anni fa (fine dell’era preistorica), i resti dell’antico acquedotto greco-romano e dei rifugi antiaerei della Seconda Guerra Mondiale, e ancora il Museo della Guerra, gli Orti Ipogei, la Stazione Sismica “Arianna”, la Pizzeria Geotermica (nata dove c’era un antico forno romano, sotto le volte del Convento Teatino di San Paolo Maggiore, a due passi dall’antica Agorà, oggi Piazza San Gaetano), e tanto altro ancora. A conclusione del percorso è, infine, possibile visitare i resti dell’antico teatro greco-romano di Neapolis, tutt'ora sepolto sotto alcuni palazzi del centro storico, accessibile da una proprietà privata.

Dove: Piazza Trieste e Trento (primo percorso), Piazza San Gaetano 68 (secondo percorso)

Museo LAPIS - Basilica di S. Maria Maggiore in Pietrasanta

La Basilica di S. Maria Maggiore in Pietrasanta racchiude millenni di storia napoletana. Edificata sui resti del tempio greco di Diana, fu trasformata in basilica cristiana da Pomponio nel 525 e pensata per essere il primo santuario dedicato alla Vergine Maria. Il sito ricostruito nel 1656 dal Fanzago, racchiude i resti dell’evoluzione di Napoli: il campanile, il tempietto del Pontano, e quello dedicato al Salvatore, raccontano assieme alla Basilica la storia di questo unicum napoletano. il nome della Basilica (“della Pietrasanta”), secondo alcuni deriverebbe da una porzione di roccia su cui era stata scolpita l’immagine della Madonna, ritrovata dal Vescovo Pomponio sul luogo dove stava per sorgere il santuario a lei dedicato. Secondo altri farebbe riferimento a una pietra, forse in marmo, su cui era incisa una croce e custodita nella chiesa: pare che chiunque la baciasse, avrebbe ottenuto l’indulgenza da tutti i peccati. Questa pietra, però, non è mai stata ritrovata. C’è chi sostiene sia custodita nella chiesa a protezione di Napoli e che nei sotterranei della basilica, siano celati segni e iscrizioni legati al mito dei Cavalieri Templari seguaci del culto della Madonna Nera (trasposizione della dea egizia Iside). Quale tra queste ipotesi sia vera non c’è dato sapere, l’unica cosa certa è che la Basilica di Santa Maria Maggiore della Pietrasanta è la prima costruzione sacra dedicata alla Vergine Maria e su cui convergono epoche storiche diverse: qui antico e moderno si fondono. Oggi, il complesso è una vera e propria “multisala della cultura”, ospitando grandi mostre d’arte nel piano basilica, mostre archeologiche nella cripta (in collaborazione con il Museo Archeologico Nazionale di Napoli) e vantando un suggestivo percorso sotterraneo che oggi è ancora più agevole grazie ad un ascensore (il primo ascensore archeologico di quest’area) che accompagna i visitatori alla scoperta di un decumano sommerso e del suo Museo dell’Acqua. Lungo questo percorso sotterraneo, i visitatori possono ammirare due bellissime cisterne greco-romane che sono ritornate all’originaria funzione grazie ad una preziosa collaborazione con ABC Napoli (azienda idrica napoletana), ulteriormente valorizzate con un sofisticato impianto illumino-tecnico che enfatizza volte e volumi per una visita esperienziale davvero unica.

Dove: Piazzetta Pietrasanta

Museo del Sottosuolo

Il Museo del Sottosuolo fa parte dell’antico acquedotto greco-romano di Napoli nelle cui cisterne, negli anni ’40, fu allestito un ricovero antiaereo per proteggere la popolazione napoletana durante i bombardamenti. Scoperto da Clemente Esposito, presidente del Centro speleologico napoletano, e riallestito con tutto ciò che riguarda l’ultramillenaria storia del sottosuolo partenopeo, oggi ospita visite guidate ed eventi. Centoventisei gradini portano il visitatore alla scoperta delle cisterne in tufo giallo napoletano (prodotto dalla Solfatara, uno dei vulcani dell’area flegrea), particolarmente solido e malleabile. Tre gli antichi acquedotti che fino alla fine del 1800 hanno rifornito Napoli di acqua: l’acquedotto della Bolla di origine greco romana (che ha fornito acqua per oltre due millenni), quello romano, l’acquedotto Augusteo (o del Serino, una delle più grandi opere ingegneristiche del suo genere dal volume di 12mila metri cubi di acqua, cioè 12 milioni di litri) ed il “Carmignano” del 1600, con acqua in arrivo da Sant’Agata dei Goti attraverso una lunga serie di mulini. Tutti e tre funzionarono fino al 1885, quando entrò in funzione l’attuale acquedotto a pressione. Da queste cisterne, direttamente collegate all’interno dei palazzi, gli appartamenti si rifornivano di acqua calando un secchio attraverso una piccola finestra. A questa usanza sono legate molte leggende, tra cui quella del Munaciello: spirito benevolo o maligno a seconda dei casi, di lui ha parlato anche la scrittrice Matilde Serao, che lo identifica nel figlio deforme di un amore infelice tra un uomo e una donna di ceti diversi. Per altri, invece, il Munaciello non è altro che il pozzaro, cioè l’addetto alla gestione delle cisterne e dei pozzi, in grado di intrufolarsi negli appartamenti e capro espiatorio di tanti eventi ai quali non si volevano dare spiegazione. Nel Novecento, l’Unione nazionale protezione antiaerea individuò centinaia di luoghi da adattare a rifugio e, tra questi, l’attuale Museo del Sottosuolo. Qui migliaia di napoletani riuscirono a salvarsi dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale che distrusse un terzo del patrimonio edilizio della città.

Dove: Piazza Cavour, 140

“La Neapolis Sotterrata” - Complesso monumentale di San Lorenzo Maggiore

Sotto la Basilica di San Lorenzo Maggiore, una delle più antiche di tutta la città, si trova la Città Sepolta Greco-Romana, un’ampia area archeologica che si estende fino a 10 metri di profondità, in cui sono visibili i resti dell'antico Foro di Neapolis, ma non solo. All’interno del chiostro settecentesco è visibile anche parte del macellum (il mercato romano risalente al I secolo d.C.) costituito da uno porticato rettangolare, su cui si aprivano botteghe, e da un cortile interno scoperto e pavimentato a mosaico, al centro del quale era collocato un edificio circolare destinato alla vendita degli alimenti (tholos). A chiarire la complessa strutturazione dell’intera zona sono però i livelli inferiori dello scavo. Dall’antico tracciato di una strada di età greca (stenopos), poi definito cardo (cardine) di Neapolis, al di sotto del transetto della chiesa, ricoperta da un lastricato del V secolo d.C., all’articolato edificio romano che, distribuendosi su tre ali, fungeva anche da sostegno artificiale della terrazza sovrastante, sulla quale era posizionato poi il mercato, che contribuiva a definire la porzione inferiore del Foro. La costruzione si componeva di una serie di nove botteghe (tabernae), composte ciascuna di due stanze voltate a botte e aperte sulla strada, in cui si svolgevano attività commerciali e artigianali, e dove i sono individuati un forno e vasche per la tintura dei tessuti. Alla fine del cardine, sulla destra, si giunge al criptoportico (mercato coperto), suddiviso in piccoli ambienti dotati di banconi in muratura per l’esposizione delle merci. Facevano eccezione solo tre di essi, che probabilmente costituivano l’erarium, dove era custodito il tesoro cittadino. Tale organizzazione rimase in luce fino agli ultimi anni del V secolo d.C., quando, colmata la zona da strati di natura alluvionale, iniziarono le prime trasformazioni culminate nel XIII secolo con la costruzione del convento e della basilica gotica.

Dove: Piazza S. Gaetano, 316

L’ipogeo di Santa Luciella

Concludiamo il nostro tour con l’ipogeo di Santa Luciella, nei sotterranei della Chiesa Chiesa di Santa Luciella, la cui storia è stata raccontata anche da Aberto Angela nel corso della puntata “Stanotte a Napoli”. La Chiesa fu fondata poco prima del 1327 da Bartolomeo di Capua, giureconsulto e consigliere politico di Carlo II e Roberto I d'Angiò, divenendo successivamente luogo di culto per la Coroporazione dei Pipernieri, Fabbricatori e Tagliamonti che proprio a Santa Lucia affidavano la protezione della vista, messa a rischio dal proprio mestiere. Tra i luoghi più suggestivi di questa Chiesetta c’è l’ipogeo, dove anticamente si praticava il famoso culto delle anime pezzentelle. Qui venivano sepolti i cadaveri secondo il rito della doppia sepoltura: i corpi venivano trasportati nel cimitero e affidati allo “schiattamuorto”, figura tipica napoletana che significa “bucamorto”, perché punzecchiava il cadavere affinchè i gas e i liquidi della decomposizione fuoriuscissero più facilmente, velocizzando così il processo di decomposizione. Dopodichè i corpi venivano adagiati su una delle 4 terre sante presenti nel cimitero, interrati, e dopo qualche mese estratti, i corpi venivano ripuliti e le ossa poste nell’ossario che si trova sotto il cimitero (un’area a cui si accede da una botola ancora non esplorata, al momento quindi non accessibile). L’unica parte che non veniva riposta nell’ossario erano i teschi che i napoletani chiamavano “capuzzelle”. Venivano chiamate così perché erano oggetto di un culto tipicamente napoletano: “il culto delle anime pezzentelle" (o anime del purgatorio). “Pezzentella” deriva dal termine latino “petere” che significa “chiedere”: il culto si basa, infatti, su una richiesta alle anime del purgatorio. Sulle cornici dell'ipogeo sono ben visibili crani che risalgono al periodo che va dal 1600 al 1800, nel 1804 poi Napoleone Bonaparte, con l'Editto di Saint Cloud, stabilì che le sepolture dovevano essere effettuate tutte al di fuori delle mura cittadine. Da quel momento non furono, quindi, più portati cadaveri nella Chiesa di Santa Luciella e in nessun altro luogo di sepoltura in città. Tra i teschi presenti nell’ipogeo c’è n’è uno diventato famoso: il teschio con le orecchie. Avendo questa caratteristica ‘anomala’ (le orecchie), le donne partenopee credevano che fosse un ascoltatore migliore degli altri, e tutte rivolgevano a lui le preghiere. Secondo le più recenti analisi dei paleopatologi, queste “orecchie” sarebbero distaccamenti dalle pareti laterali del cranio, un fenomeno che avviene frequentemente dopo la morte. Le ossa laterali tendono, infatti, a decomporsi nel giro di qualche decennio, ma nel caso del teschio con le orecchie questo non è accaduto perchè il processo di decomposizione si è arrestato: da più di 300 anni il teschio presenta, infatti, sempre la stessa conformazione.

Dove: Vico Santa Luciella, 5


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