L'Oro di Napoli

Il Carciofo di Castellammare, cos'è e perchè è il simbolo della Pasqua

E' anche detto "il Primitaccio di Primavera" perchè si inizia a raccogliere già nei mesi di febbraio-marzo. Tradizione vuole che lo si porti in tavola nel giorno di Pasquetta arrostito sulla brace

Carciofo di Castellammare

Nel periodo che va da ottobre a giugno troviamo sui banchi di mercati e supermercati tantissimi tipi di carciofi. Si tratta di ortaggi molto versatili che posso essere utilizzarli per condire la pasta, cuocerli in padella o sulla brace, o ancora per preparare contorni gustosi. Oggi vogliamo parlarvi del Violetto di Castellammare (o Carciofo di Schito), coltivato tradizionalmente nell'area vesuviana, in particolar modo nella località di Schito (una frazione di Castellammare di Stabia), ricco di ferro e di altre prorietà nutritive. E’ una varietà della mammola Romanesca, da cui si differenzia per il periodo di produzione anticipata e per il colore delle foglie, tendente al rosa che sfuma nel violetto. 

Il Violetto di Castellammare

La coltivazione si pratica sin dai temi dell’epoca romana in una frazione di Castellammare di Stabia, Schito, area considerata a quel tempo particolarmente vocata all’orticoltura, per questo chiamata anche “orti di Schito”. L’ortaggio è oggi coltivato nella zona intorno a Castellammare di Stabia (che comprende i comuni di Gragnano, Pompei, Sant’Antonio Abate, Santa Maria La Carità, oltre a Castellammare). L'ortaggio è particolarmente apprezzato per la sua eccellente qualità: è privo di spine e con grandi infiorescenze rotonde, le sue foglie sono particolarmente tenere per questo si mangiano anche crude.

L’antica tecnica di coltura delle pignattelle

Una delle particolarità di questo ortaggio è l'antica tecnica colturale che viene ancora utilizzata oggi. Il carciofo viene fatto crescere coperto da coppette di terracotta (pignatte o pignattelle) colorate e realizzate a mano da artigiani locali per proteggerlo dai raggi del sole. Questo conferisce al carciofo un colore chiaro e lo rende particolarmente tenero, tanto da poterlo mangiare crudo. Anticamente i diversi colori delle pignatelle aiutavano anche a distinguere le diverse famiglie che coltivavano i carciofi.

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Anche detto “Primitaccio di Castellammare”

Questo carciofo si contraddistingue anche per la maturazione precoce. Si raccoglie, infatti, nel periodo compreso tra febbraio e metà maggio, ma già nei mesi di febbraio-marzo si raccolgono le mammarelle (cioè i capolini centrali). E proprio perché poteva essere raccolto già in Primavera era chiamato “il Primaticcio di Castellammare”, come riportano diversi manuali di agricoltura risalenti all'epoca borbonica.

Presidio Slow Food

L’urbanizzazione selvaggia e la tendenzadella floricoltura che hanno caratterizzato gli ultimi 30/40 anni hanno ridotto gli spazi dedicati alle coltivazioni tradizionali. Per questo motivo è stato istituito un Presidio Slow Food, sostenuto dalla Provincia di Napoli, con l'obiettivo di riconvertire all'orticoltura i terreni storici attraverso la promozione di uno dei prodotti simbolo della cucina campana e napoletana in particolare. Il merito di averne rilanciato la produzione va tutto a Sabato Abagnale, oggi referente dei produttori del Presidio.

Come cucinarlo

Il Violetto di Castellammare viene utilizzato per la preparazione di svariate ricette e piatti locali. Le “mamme” vengono generalmente cotte sulla brace o mangiate crude, o ancora lessate, condendole con un filo di olio, un pizzico di sale, un pò di aglio e cipollotto fresco. I "figli "sono perfetti per preparare la parmigiana, e le parti di gambo, che vengono di solito gettate, possono essere utilizzate per frittate o trasformate in creme per condire la pasta.

Il carciofo arrostito di Pasquetta

Il Carciofo di Castellammare è considerato un vero e proprio simbolo della Pasqua. Tradizione vuole che il lunedì di Pasquetta lo si prepari arrostito sulla brace. Per cucinarlo si prende il carciofo intero, posto direttamente nella brace di un barbecue. Quando è cotto (dopo circa mezz’ora) viene ripulito delle foglie bruciacchiate, condito con sale, pepe, prezzemolo, aglietto fresco e un filo di olio e consumato in abbinamento agli insaccati della tradizione contadina (in particolare dei Monti Lattari, quali salame e soppressata.


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